"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

24 apr 2015

EMPEROR: IL FASCINO DISCRETO DEL SUONO IMPASTATO


I MIGLIORI DIECI ALBUM DEL BLACK METAL NORVEGESE
4° CLASSIFICATO: “IN THE NIGHTSIDE ECLIPSE”

Inginocchiamoci innanzi ad uno dei più grandi album mai partoriti dal grembo norvegese: un momento irripetibile per la storia del black metal, ma anche per la stessa band capitanata da Ihsahn e Samoth, i quali, fra vicende alterne, non saranno più in grado di bissare il successo della loro opera prima.


Per chi viveva il fenomeno black-metal durante il suo impetuoso sbocciare, “In the Nightside Eclipse” diveniva un classico nel momento stesso in cui usciva (correva l’anno 1994). Di caratura artistica indubbiamente superiore, l’esordio degli Emperor svettava prepotentemente al di sopra delle coeve produzioni in campo estremo: quello che più di ogni altra cosa affascinava degli Emperor era probabilmente il copioso utilizzo di tastiere e sintetizzatori, cosa insolita per il black metal, ma anche per il metal in generale. Aspetto, questo, che paradossalmente nulla toglieva alla proposta dei norvegesi quanto ad ortodossia/aderenza al genere ed intensità.

Intensità: ecco la parola giusta! Gli Emperor di “In the Nightside Eclipse” erano intensi come nessuno riusciva ad essere. Essi ammantarono gli stilemi dell’emergente black-metal di uno spirito che potremmo definire faustiano. Considerati a ragione fra gli iniziatori del filone del black metal sinfonico (e non era solo una questione di orchestrazioni, ma anche e soprattutto di umori, andamento, dinamismo e complessità dei brani), gli Emperor sono stati in realtà molto di più. Vediamo dunque cos’erano allora e quale sarà la loro preziosa eredità.

“In the Nightside Eclipse” usciva dopo un promettente demo (“Wrath of the Tyrant”, del 1991) ed un buon EP (“Emperor”, del 1992), poi incluso in uno split con i colleghi Enslaved. Il clamore che si creò intorno alla sua uscita non fu solo dovuto alle eccelse qualità del prodotto in sé: tanto per aggiungere leggenda alla leggenda, la popolarità della band venne ad accrescersi per una serie di vicende di contorno che niente avevano a che fare con la musica. Il batterista Faust (Bard G. Eithun) venne incriminato per omicidio; contestualmente il bassista Mortiis (Haavard Elefsen) lasciò la band per migrare in Svezia, in fuga da eventuali rappresaglie da parte dall’ex compare, che era stato incarcerato proprio per una sua testimonianza. Infine fu lo stesso chitarrista e fondatore Samoth (Tomas Thormodsaeter Haugen) ad essere ingabbiato per profanazione di cimiteri ed altri luoghi di culto.

“In the Nightside Eclipse” conservava comunque le parti di batteria registrate da Faust ed alcuni testi scritti dal fuggitivo Mortiis, il quale alle quattro corde fu prontamente sostituito da Tchort (Terje Vik Shei). Pieno coinvolgimento invece per i due deus ex machina della formazione: da un lato l’impeto ossianico di Ihsahn (Vegard Sverre Tveitan), dall’altro l’intransigenza di Samoth, le due anime opposte e complementari del sound unico ed irripetibile degli Emperor.

Samoth è il fiume turbolento che trascina con vigore la musica degli Emperor: quando egli attacca il jack della sua chitarra all’amplificatore e preme il pedale del distorsore si materializza nello nostre orecchie quell’inconfondibile fruscio/frastuono fra tempesta di zanzare e rigurgito di lavandino otturato che è oramai divenuto il suo marchio inconfondibile.

In questa torrenziale emissione di glaciali distorsioni, dove le linee melodiche si perdono in lontananza, ma rimangono chiaramente udibili, si va ad immergere il genio visionario di Ihsahn, dotato polistrumentista, grande arrangiatore e magistrale interprete. Le sue epiche tessiture di chitarra, le sue impetuose orchestrazioni si fondono in un unicum wagneriano che, senza esagerazioni, richiama i movimenti di un’intera orchestra. La sua voce, uno screaming furioso e farfugliante, si perde nel tripudio collettivo alla stregua di un rantolo agonizzante che va e viene.

Aggiungerei, infine, l’importanza del drumming fresco e potente di Faust, a mio parere uno batteristi più tonici della scena: di norma lanciato su ritmi velocissimi, nei frequenti mid-tempo egli si avvicinava alla materia black-metal con la sensibilità del “jazzista”, respirando musica, impersonandosi nella musica, passeggiando con grazia su piatti e bacchette, conferendo un’eleganza, una maestosità ai brani che non riscontreremo più nella discografia successiva della band (nemmeno il piovresco Trym, ex batterista degli Enslaved e musicista tecnicamente maggiormente preparato, riuscirà, nel succedergli, ad imprimere lo stesso passo alle composizioni degli Emperor).

Era dunque la velocità un altro tratto distintivo degli Emperor. O meglio: a renderli unici era la loro capacità di coniugare la furia esecutiva ad una impressionante complessità di architetture. Nello stesso anno uscivano altre due pietre miliari del black sinfonico, “The Principle of Evil Made Flesh” degli inglesi Cradle of Filth e “For All Tid” dei conterranei Dimmu Borgir. Entrambi, per evidenziare la dimensione romantica ed orrorifica, avevano bisogno di frequenti rallentamenti e pause ottenebranti, mentre l’orchestra demoniaca degli Emperor continuava a correre alla velocità della luce. Velocità e potenza, pertanto, erano ancora una prerogativa per gli Emperor, per quanto la materia sonica dei Nostri fosse mutevole ed imprevedibile, per quanto la struttura delle composizioni non fosse mai lineare, per quanto incisiva fosse l’azione delle tastiere.

L’aura metafisica, fantastica, impalpabile, infine, non è solo il frutto di un ottimo lavoro di scrittura ed arrangiamenti, ma anche di quei suoni confusi-ma-non-troppo che trovano in “In The Nightside Eclipse” un bilanciamento perfetto fra sporcizia sonora e serena fruizione del prodotto (equilibrio spesso non individuato in produzioni analoghe, dove o ci si innervosisce perché non si capisce nulla, o ci si indigna per l’eccessiva pulizia sonora, o ci si arrabbia per i suoni “giocattolo” delle tastiere, o ci si irrita per l’urticante ticchettare della batteria troppo triggerata).

Mondi immaginari fatti di incantesimi, malefici, “inni a Satana”, battaglie cruente, paesaggi mozzafiato vengono evocati grazie a quel caos di suoni in cui è più quello che si intuisce rispetto a quello che si stringe effettivamente fra le mani. In questo gioco (quasi erotico) di vedo-non vedo, finiamo spesso per immaginarcele le canzoni degli Emperor, piuttosto che averle chiaramente davanti agli occhi.

E forse è stato meglio così: quando successivamente (nei pur buoni “Anthems to the Welkin at Dusk”, “IX Equilibrium” e “Prometheus: the Discipline of Fire & Demise”) la produzione migliorerà e potremo finalmente udire con maggiore nitidezza le gesta dei musicisti, qualcosa continuerà tuttavia a non tornare, e un po' di magia verrà persa per la strada. Durante l’ascolto di suddetti album, innanzi alle stecche della voce strozzata di Ihsahn (ma perché si ostina a cantare?), al suo perenne affogare e riemergere nell’imponente magma sonoro allestito dalla band; innanzi al cozzare armonico non sempre felice fra le due chitarre, agli arrangiamenti di tastiere a volte fuori controllo, innanzi a tutte queste storture non potremo certo dare la colpa al lavoro effettuato dietro al mixer.

Quanto all'eredità degli Emperor, molti dei protagonisti della rinascita del black-metal nel terzo millennio, come gli americani “Wolves in the Throne Room” e gli irlandesi “Altar of Plagues” li citeranno fra le loro influenze maggiori. La cosa curiosa, però, è che queste band faranno un uso modesto, se non nullo, delle tastiere: dunque, non erano esse il nocciolo della questione?

Le tastiere probabilmente erano la caratteristica più appariscente del sound innovativo degli Emperor, ma non l'unica. Ve ne erano sicuramente altre, rimaste in secondo piano e poi dissepolte negli anni successivi, come l’ambizione e la fantasia compositiva: elementi che, messi insieme, hanno ispirato quella grandiosità metafisica ed impalpabile che tanti altri hanno provato vanamente ad imitare. Si provi a chiudere gli occhi durante l’ascolto di “In the Nightside Eclipse”: sembrerà di essere proiettati alla velocità della luce in un tunnel dalle pareti vaporose, attraverso le quali si aprono la strada fendenti di luce turchina. E’ il passaggio fantastico che è necessario percorrere per raggiungere dimensioni ignote, in cui la capacità descrittiva della band è in grado di edificare immagini vivide, stranianti, dal forte impatto. Laddove il suono nero di Darkthrone e Mayhem puzza ancora di rancida cantina, il potere immaginifico della grandiosa e monumentale musica degli Emperor (che non erano semplicemente i “Mayhem o i Darkthrone con le tastiere”) porta lontano e non sembra uscire da uno studio di registrazione, bensì dalle fucine dell'Inferno stesso, o da una dimensione astratta celata in un recesso oscuro della nostra mente. Vengono in aiuto, senz’altro, i suggestivi testi scaturiti dalle fervide menti di Ihsahn e Samoth, autori della maggior parte di essi, ma anche dalla penna visionaria di Mortiis, paroliere originale ed ideatore di universi di fantasia dotati di vita propria (proverbiale rimarrà il famigerato “Io sono i maghi neri”).

Era l’approccio panteistico ed universalizzante, la capacità di edificare trame realmente progressive, l’imprevedibilità nello sviluppo delle combinazioni, il confluire dei singoli contributi all’interno di un corpus sonoro compatto, vigoroso, vitale il vero asso nella manica degli Emperor.

…O, più semplicemente: la possibilità di avvalersi di una registrazione approssimativa quanto prodigiosa che celava gli errori ed inspiegabilmente impastava i suoni rendendoli irresistibilmente incomprensibili...