"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

18 apr 2015

REPORTAGE: QUANDO TI AGGIRI PER H&M E TI IMBATTI NEGLI SLAYER...




La foto da noi scattata parla chiaro: i manichini di H&M indossano magliette degli Slayer. Perlamordiddio, non ci scandalizziamo, ma una strana sensazione serpeggia fra di noi...

Verificando su internet, ho appreso poi che nell'affair sarebbero coinvolti Slayer, Metallica e Guns 'n' Roses. Le magliette di suddette formazioni non sono solamente esposte in negozio, ma sono anche in vendita. Ne deduco che vi sia stata anche la realizzazione di una linea di prodotti ad hoc (ossia magliette disegnate e stampate appositamente per essere vendute in esclusiva nei punti vendita della popolarissima catena di abbigliamento). Dettaglio ulteriore: oltre alle T-shirt di queste band, vi sono anche quelle “anonime” che richiamano, in modo astratto, fashion ed ovviamente innocuo, l'immaginario dell’universo metal (croci, teschi, serpenti ed altri stereotipi).

La notizia non turba i nostri sonni: il metal non è mai stato un fenomeno culturale realmente scomodo. Nonostante in esso vengano trattati svariati temi considerati tabù (morte, satanismo, occultismo ecc.), il metal non ha mai fatto veramente paura alla nostra società, che lo ha tranquillamente assorbito (venduto nei megastore, accolto negli stadi ecc.). Altra faccenda, per esempio, è quella vissuta da certi artisti che gravitano nella cosiddetta grey area (Death in June e Der Blutharsch sono i primi nomi che mi vengono in mente), appartenenti a quel fenomeno underground sospeso fra industrial e folk apocalittico, che spesso è stato ferocemente osteggiato, avversato, bandito, censurato e boicottato, avendo attirato l’ira e lo sdegno non solo della frangia più bigotta dei benpensanti. Il metal, salvo qualche sparuto gruppo black-metal più (ehm…) “nichilista”, non ha mai avuto problemi di questo tipo. Sebbene i Judas Priest cantassero a squarciagola “breaking the law, breaking the law”, il metallaro le regole le segue eccome (al massimo si diletta a disturbare la quiete dei vicini di casa). E in virtù di questa “buona condotta”, anche il metal nel complesso viene condonato, insieme ad altri tipi violenti come l'Uomo Tigre e Ken il Guerriero.

Fatta la dovuta premessa, torniamo alle nostre magliette. Non ci sorprendiamo certamente nel vedere coinvolti nell'operazione i Metallica, da anni spudoratamente svenduti ai dettami del vil denaro (non ci stupiremmo, in verità, nemmeno se al posto del pagliaccio di McDonald's un giorno trovassimo la statua colorata e sorridente di Lars Urlich). Ma al di là dei Metallica, siamo comunque disposti a comprendere anche le band più “oneste”: è chiaro a chiunque, oramai, che, con tutti i cambiamenti tecnologici e sociologici che negli ultimi anni hanno sconquassato l'industria musicale, i musicisti, se vogliono campare di musica, non possono limitarsi alla sola musica.

Fatta anche questa seconda premessa, giungo finalmente al punto. E' tutto chiaro, pacifico, incontrovertibile, durante la Seconda Guerra Mondiale anche le aziende dei paesi avversari continuavano a stringere accordi commerciali fra di loro, chiarissimo, però gli Slayer non sono un gruppo metal qualsiasi: essi sono i padri e i paladini e quindi simbolo dell'Estremo, non solo perché hanno coniato quel linguaggio e quella grammatica che caratterizzano universalmente il metallo estremo tutto (tema già introdotto nel nostro blog), ma anche per il messaggio lirico di cui essi sono portatori (si veda, sempre sul nostro blog, la “cattiva novella” che essi ci raccontano).

Gli Slayer, per esempio, hanno scritto il testo di “Angel of Death”, nel quale si descrivono gli esperimenti del dr Mengele in quel di Auschwitz (non proprio la lista della spesa).

Gli Slayer, inoltre, sono stati il bersaglio di una polemica che Max Cavalera rivolse al loro indirizzo all'indomani della pubblicazione di “Divine Intervention”, sostenendo che i loro concerti erano raduni di naziskin.

Gli Slayer, inoltre, nel 1996 furono citati in giudizio per l'assassinio di Elyse Marie Pahler, quindicenne massacrata da ragazzi che per quel gesto sostennero di essersi ispirati a brani come “Altar of Sacrifice”, “Kill Again” e “Necrophiliac” (processo terminato con l'assoluzione degli Slayer in nome della libertà di espressione artistica, nda).

Gli Slayer, infine, furono nuovamente tirati in ballo per l'italianissima vicenda delle Bestie di Satana (con “Kill Again” ancora sul banco degli imputati).

Con la pubblicazione di “Christ Illusion” (si badi mene: il loro penultimo album, non il primo!) le polemiche non si sono certo diradate. Al di là della sobria copertina (un Cristo mutilato in un mare di sangue nel quale galleggiano le teste mozzate della Madonna e degli apostoli), con quell'album gli Slayer non solo continuarono ad infastidire i soliti perditempo religiosi, ma riuscirono persino a fare incazzare i parenti delle vittime della strage dell'11 settembre per via del testo del brano “Jihad”. Insomma, a torto o a ragione, per superficialità, bigottismo o semplice idiozia, intorno alla band gravitano da sempre brutte storie: satanismo, antisemitismo, terrorismo, ossia tutto quello che la società rifugge a gambe levate. Com'è dunque che tutto questo finisce nelle vetrine di H&M?

Le teorie sono due. A) La catena necessita dell’ennesimo rilancio di immagine: questa volta si richiede qualcosa di più audace del solito, qualcosa di trasgressivo, di ribelle, di rock! Il manager di turno, ignaro di chi siano gli Slayer e quale sia la loro storia, chiede al suo stagista di fare una ricerca su Google, tipo “band heavy metal che vendono di più” e di contattarle per coinvolgerle nel progetto. B) Stessa trafila, con la variante dello stagista zelante che di sua iniziativa raccoglie qualche informazione in più su Wikipedia, predispone la sua pedante relazione e la consegna al suo capo, il quale a sua volta chiede una valutazione all'ufficio legale in merito al rischio impatto-immagine. Rischio che rimane minimo, anzi nullo, perché a) chi conosce gli Slayer non si cura degli aspetti etici dei loro contenuti lirici; b) chi non li conosce ovviamente non sa nulla della loro filosofia. Conclusione: chi sono gli Slayer, quale è il messaggio da essi veicolato, è un dato irrilevante per chi prende decisioni sulla base di una serie di file Excel. Egli al massimo si chiederà: “Sono gli Slayer coerenti con la strategia commerciale che abbiamo scelto? Ci faranno fatturare di più?”

Io ci vedo l'ennesima assurda ed insensata forzatura di categorie di pensiero in una società oramai divenuta incomprensibile, in quanto in essa tutto si mescola a tutto in modo indiscriminato. Mettere gli Slayer in una vetrina di H&M risponde a questa logica, significa confondere mondi lontanissimi e concettualmente inconciliabili: operazione a maggior ragione condannabile perché ispirata solo ed esclusivamente da motivi di profitto.  Potremmo dunque parlare di economia, di sociologia, forse di etica, ma probabilmente è solo una questione di estetica: ci son cose che semplicemente non stanno bene insieme (come la crema chantilly sulle melanzane alla parmigiana) o cose che semplicemente non si possono vedere (come coloro che portano gli occhiali da sole quando piove). Vedere gli Slayer in H&M (o Zara, o Mango, o dove diavolo vi pare) è come dire Pasolini e palestra, patate fritte e Dostoevskij: non c’entrano nulla l’uno con l’altro e dovrebbero stare separati. E’ solo una questione di igiene mentale. Perché quello delle catene di negozi, dei fast-food, delle SPA, degli autogrill è un mondo in cui stanno bene Checco Zalone, Panariello, Pieraccioni, Gigi D’Alessio.

Non gli Slayer. Perché quello che evocano gli Slayer è un altro mondo. E qui il mio pensiero vola verso quelle mitica serata al Palavobis di Milano, ottobre 2001, poco dopo il crollo delle Torri Gemelle, quando si aspettava il loro ingresso sul palco, e noi sotto, nella mischia, mentre davano in filodiffusione l’introduzione fastidiosa e cacofonica di “God Hates Us All”. Potevi percepire la violenza nell'aria, il calore, il sudore, la pressione insostenibile della folla, le gente che ti spingeva da dietro, i disperati che resistevano davanti schiacciati contro la sbarra sotto il palco. Scene assurde ed irripetibili, delirio collettivo, paura, esaltazione, buio. Il ragazzo con gli occhi cerchiati, la fascia e i capelli à la Robert Smith che guardava indietro e con accento romagnolo diceva “calma, ragassi, calma, son venuto apposta fino a Milano per farmi i lividi, ma aspettate che almeno inissino a suonare”. I cori da stadio che rimbombavano incessanti, le mani come artigli che premevano sulle spalle in uno spasmo collettivo. Tutti erano uno. E poco più in là: isole di niente con in mezzo serafici energumeni rasati a zero e con barba sfibrata che si guadagnavano lo spazio vitale grazie all'aura di rispetto ed al timor panico che incuteva la loro stazza (ma forse anche per quei polsini borchiati e chiodati che se ti finivano per sbaglio in un occhio eri nella merda). Non le vetrine patinate di H&M, non la techno dozzinale che vi alberga, ma quelle scene appena adesso rimembrate: quello è il mondo, e non altri, che voglio che mi evochino gli Slayer.  

Uno mondo dove le lettere H e M significano semplicemente Heavy Metal....