"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

25 mag 2015

RECENSIONE: JON OLIVA'S PAIN "FESTIVAL"


"Oh ... festival ! Oh... Festival!"
Recita la rauca voce nello straziante ritornello della titletrack, ti prego almeno te non ci lasciare, non morire mai Jon!
Anno dopo anno la creatura Jon Oliva's Pain diventa sempre più personale e, mantenendo un marchio unico, si distacca leggermente dal passato Savatage e cerca di mescolare quel pizzico di progressive in più con un heavy oscuro. 

"Festival" è l'ultimo disco ad oggi sotto questo monicker e, come accade spesso dopo i (sempre siano lodati) Savatage, si compone attraverso idee del passato rivisitate insieme alla chitarra di Matt LaPorte. Tra l'altro sarà l'ultimo album di questo chitarrista che, ad un anno dall'uscita, morirà accomunando in modo sinistro il suo destino a quello di Criss.
La maledizione di chi suona con Jon continua, spero anche non di colui che ne scrive le recensioni... 

Oggi sarò didascalico: la partenza è affidata a "Lies" che porta in dote una influenza maideniana che ritroveremo anche più avanti, nonostante il marchio Oliva. Certo la voce della nostra balena preferita diventa sempre più roca, ma la composizione regge il confronto con le migliori produzioni del passato e ci introduce alle tre successive canzoni che sono il top del disco. "Death Rides A Black Horse" e il suo ritornello ossessivo, "Festival" e "The Afterglow" con un intermezzo di piano jazzato, sono un riassunto di tutto ciò che Jon Oliva sa fare oggi: classe heavy, cupezza epica e quel gusto progressivo arricchito dal suo inconfondibile stile (anche se due caramelle di propoli per la gola non guasterebbero).
Nella seconda parte scende la qualità generale delle composizioni, niente di tremendo, però il disco scorre via senza particolari picchi. La creatività musicale del Mountain King stupisce comunque, perché va dal discutibile blues di "Looking For Nothing" a momenti quasi thrash come in "The Evil Within" della quale va sottolineato un passaggio centrale epico marchiato a fuoco da Oliva che recita: "Death's Orchestra Plays... Demon's Melody". Commosso, anche stavolta! 
Mi voglio infine soffermare sulla canzone che, in ogni canonica recensione, è liquidata come il momento heavy in stile "Sirens" ovvero: "Living On The Edge". In questo recupero del passato, io vedo invece il futuro del mitico Jon, perché la sua voce diventa sempre più gutturale e queste composizioni ne esaltano lo spirito duro come in un incesto con gli W.A.S.P.
In questo disco c'è però un leggero passo indietro rispetto ai precedenti "Maniacal Renderings" e "Global Warning", anche se molti si sognano di produrre un lavoro di questo valore nel panorama odierno. Forse sono solo io che vivo in questa perenne nostalgia dei (sospiro di ammirazione) Savatage, perciò il detto "si stava meglio quando si stava peggio" mi rappresenta in questo caso. Gli stessi Circle II Circle (ovvero la band nata con Zak Stevens alla voce) li apprezzo solo quando avvicinano le loro sonorità alle idee dei (sospiro di rimpianto) Savatage, ma quindi il problema sarà mio? 

Jon Oliva è come quel giocatore di calcio che un tempo ha calcato i campi più prestigiosi, ma che ancora oggi da vecchio a fine carriera è il primo a lottare e divertirsi ogni giorno ad allenamento sapendo trascinare tutti da vero leader. Sì, lo scatto non sarà quello di un tempo, ma la stoffa del campione c'è e si sente... 

Voto: 7.5

Canzone top: "The Afterglow"
Momento top: la strofa iniziale e il chorus di "Death Rides A Black Horse"
Canzone flop: "I Fear You"
Anno: 2010
Dati: 10 canzoni, 55 minuti
Etichetta: Afm Records