"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

27 ago 2015

PENSIERI A CAZZO SU "DIABOLUS IN MUSICA", SLAYER




Da quando scrivo per Metal Mirror mi capita di rispolverare album che oramai ascolto assai raramente. Fra i vari ripescaggi è capitata anche l’intera discografia degli Slayer (che per me significa i primi sette album: poi sono stato io che non ho più avuto voglia di album nuovi degli Slayer). Che potrò mai aggiungere? Gli Slayer sono una band straordinaria e starne a decantare i meriti risulta quasi stucchevole. Sono La Storia Del Metal ed una bella immagine (quella del monolito alieno che ricade sul suolo e civilizza tutti gli scimmioni che popolano il Pianeta Metal) l’abbiamo tratteggiata anche noi di Metal Mirror (vai a vedere qui se non ci credi).

Ma al di là delle dichiarazioni ufficiali, che rapporto ho io oggi con gli Slayer? Vogliamo tutti bene ai nonni, ma quante volte li andiamo effettivamente a trovare? Purtroppo non spesso, almeno per quanto riguarda album come “Show No Mercy” e “Hell Awaits”, che peraltro adoro. Ok, di tanto in tanto torno dalle parti di “Reign in Blood”, ma con lo spirito dei sardi che ogni anno, d’estate, tornano in Sardegna sennò muoiono. Abbeverarsi di “Reign in Blood” significa accostare la bocca alla fonte primigenia da dove tutto è scaturito, dove l’acqua (anzi il sangue!) è di una purezza rigenerante che non trovi altrove. Però non faccio in tempo a metterlo che è già finito: io nel tempo che dura “Reign in Blood” apro l’armadio e scelgo cosa mettermi per uscire, non faccio in tempo a chinarmi per legarmi le scarpe che sono già a “Postmortem”.

Seasons in the Abyss” no, oggi è veramente raro che rientri nel mio lettore: è lungo, tortuoso, tende a tediarmi ed è pieno di canzoni come “Spirit in Black” o “Expendable Youth” o “Born of Fire”, che non è che mi spieghino molto (oggi). Per arrivare a “Seasons in the Abyss” (la canzone) mi devo sempre fare due palle così. Per questo motivo (recentemente) tendo a preferire “South of Heaven” che è il giusto compromesso: orecchiabile, quasi canticchiabile. Ed infatti mi ritrovo spesso a cantare sotto la doccia “Mandatory Suicide” o a passeggiare sculettando con nelle orecchie episodi anche minori come “Behind the Crooked Cross”, “Read Between the Lies” e “Cleanse the Soul”.

Giungiamo dunque a noi: io gli Slayer li ho conosciuti in modo adeguato e consapevole nel 1991 con “Decade of Aggression”, bel doppio live che secondo me, almeno nel primo tomo, spiattella senza pudore tutto il meglio di Araya & soci. Poi Lombardo uscì dal gruppo, pertanto, per pura illusione ottica, tendo a classificare i primi cinque album come seminali-fantastici-classici-del-metal-tutto, e il resto come merda fumante. Ma non è vero, è solo un’illusione ottica.

Partiamo da “Divine Intervention”, anno 1994. Lombardo non c’è più. Che è come dire che c’è da sostituire Maradona. Chiunque avrebbe fallito, anzi, nessuno ci avrebbe provato, ma Bostaph tenta lo stesso. Gli altri gli danno un bell’aiuto e l’incipit di “Killing Fields” è la migliore presentazione che un batterista degli Slayer possa avere. Cazzo che presentazione: siamo dalle parti di “Hell Awaits” (la canzone, l’inizio), sessioni di brutalità in cui Jeff & Kerry macinano riff come se non ci fosse un domani e Bostaph suona come Lombardo al cubo. Se Lombardo pestava, Bostaph pesta di più e forse negli Slayer l’unico modo per essere rispettati è pestare di più. Ma attenzione: l’album (che oggi è considerato una mezza ciofeca) fu salutato all’epoca con il massimo dei voti e qualcuno parlò addirittura di NuovoReign in Blood”. Eresie a parte, l’analogia penso sia nata per via del basso minutaggio (trentasei minuti, nemmeno così poco a guardar bene) e per il fatto che in esso si picchia di più, almeno rispetto a “South of Heaven” e “Seasons in the Abyss”, che in effetti procedevano più lenti e cupi. Ricorda sempre: se non sai cosa fare, dove andare, picchia di più.

Insomma, Diego Armando non c’è più, ma Ortega, almeno alla prima partita, segna venti goal. Quindi Bostaph non c’entra niente, non ha colpe, è solo una questione di tempistiche. Il 1994 è un anno difficile: muoiono Ayrton Senna, Massimo Troisi, Domenico Modugno, Elias Canetti, Karl Popper, Burt Lancaster, Gian Maria Volontè, Sylva Koscina, ma soprattutto muore Kurt Cobain. La sua morte, però, non riparerà i danni immani che il medesimo aveva procurato al metal.

Era dunque un periodo difficile, un po’ per tutti, ed anche se gli Slayer lo facevano notare meno di altri, il disorientamento c’era e culminò nel 1996 con un improbabile album di cover hardcore/punk (“Undisputed Attitude”) che avrà avuto sicuramente un utile valore terapeutico per i musicisti stessi, ma a noialtri la buttava un po’ di fuori.

Magia del giornalismo, quando nel 1998 uscì “Diabolus in Musica” (bellissima copertina!) tutti si inchinarono nuovamente: questa volta innanzi a niente meno che al Nuovo “Seasons in the Abyss”. Perché, archiviato l’insulso “Divine Intervention” (secondo me, invece, un album simpatico ed una mazzata niente male), con il Diabolo si tornava alle antiche cupezze e velate voglie di sperimentare (per quanto possano sperimentare gli Slayer nel 1998). Però nessuno aveva scritto (porca puttana!) che gli Slayer s’erano messi a suonare nu-metal! Anche questa volta fu una mazzata, ma per le coronarie: tanto mi incazzai all’epoca che giurai al cielo (???) che non avrei più acquistato un album degli Slayer.

Ma ero solo un ignorante: non avevo ancora capito che il thrash nasceva dall’hardcore . Ed infatti più che nu-metal i Nostri recuperavano quella violenza deragliante che li aveva ispirati in gioventù e che era stata analizzata in modo esplicito con l’album di cover.

(Apro una parentesi: in quegli anni si stava affermando il fenomeno del post-hardcore e non è una strana coincidenza: la gente s’era rotta il cazzo di buzzoni con fufata e magliette truculente ripiegati sulle proprie chitarre, intenti a riprodurre il riff perfetto, sul ritmo perfetto, con il growl perfetto…Oh, ma è fottuto metal o matematica??? La gente voleva gente che strillava (ed Araya strillava, eccome se strillava), più groove, più controtempi e meno staffilate (Bostaph, nell’incertezza, buttava dentro tutto, controtempi e staffilate). In questo gli Slayer, fra tutti gli incartapecoriti della vecchia scuola del thrash, furono lungimiranti: capirono che l’unico modo per progredire era tornare indietro, regredire alla fase hardocor-anale.

Parentesi nella parentesi, breve accenno alle condizioni artistiche degli altri tre dei mitici big four nell’anno di (dis)grazia 1998: i Metallica si trovavano in pessime acque, freschi freschi di “Reload” (1997). I Megadeth non erano messi meglio ed erano artisticamente situati fra “Crypting Writings” (1997) e “Risk (1999). Gli Anthrax erano completamente allo sbando: con John Bush alla voce rilasciavano “Volume 8: The Threath is Real” (1998), album che non penso l’abbiano ascoltato nemmeno gli stessi Anthrax e i loro parenti. Dunque ricapitolando: i primi avevano partorito due fra i più brutti e nefasti album della storia del metal (e di sicuro non erano sulla via della guarigione, visto che successivamente avrebbero dato alla luce quello più brutto in assoluto, ossia “St Anger”); i secondi erano semplicemente ridicoli, i terzi erano praticamente diventati la cover band degli Alice in Chains. Considerato tutto questo, direi che gli Slayer erano quelli messi meglio.  
Chiusa parentesi.)

Ma non so come, “Diabolus in Musica” ritornò un giorno all’ovile della mia collezione. Perché in effetti non lo possedevo più, ad un certo punto sparì, di sicuro scambiato o dato via per cinquemila lire a qualche fiera del disco usato. Oggi invece c’è, quindi o l’ho riscambiato o l’ho ricomprato a cinque euro in qualche fiera del disco usato. Non so perché il figliol prodigo sia stato accolto nuovamente: sarà stato forse il richiamo irresistibile di quella copertina che è troppo bella per non far parte della collezione di chiunque. E poi diciamo la verità, anzi urliamola: invecchio male. Laddove i classici del metal mi puzzano ormai d’ammuffito, se voglio scapocchiare un poco, piuttosto mi vado ad ascoltare i Black Flag o i Discharge o i Dead Kennedys. Ma siccome non ho una vasta scelta di cd hardcore nella mia collezione, allora, quando mi voglio veramente sfalloppiare il cervello, il cd che metto, quello per cui alzo veramente il volume, è “Diabolus in Musica”. Va bene così, è così che deve andare: lo sento più contemporaneo, è di una simpatia strepitosa, niente togliendo agli album dal primo al quinto, che sono immortali, eterni e quindi fuori dal tempo.

“Diabolus” è quello di cui ho bisogno, con Bostaph che spacca tutto con la batteria, con Araya che spacca tutto con la voce. Non ricordo un singolo pezzo, perché lo apprezzo come flusso. E poco m’importa se ogni tanto c’è qualche giro di basso distorto (sentire il basso in una canzone degli Slayer è per me come vedere la punta del cazzo di mio padre che fa capolino dai boxer d’estate), o qualche controtempo di troppo che fa molto “NU”. Tanto io di nu-metal non ho praticamente niente, salvo il minimo indispensabile per poterlo disprezzare a ragion veduta: un cd dei Korn, due dei System of a Down, due dei Deftones ed uno degli Slipknot. Ma solo per rappresentanza, perché non li ascolto mai, fatta eccezione per i Deftones, ma solo per quanto riguarda la canzone “Be Quiet and Drive (Far Away)” in cui quel buzzicone di Chino Moreno canta come una cagna in calore, mi pare copi Simon Le Bon, ma mi fa impazzire uguale. Insomma, questo per dire che se mi va di ascoltare il nu-metal piuttosto metto “Diabolus in Musica”.  E se poi capita a tratti di sentire Araya che rappa (ma Araya che rappa è come l’orologiaio che, per cambiare la pila al vostro orologio, utilizza il martello pneumatico al posto del cacciavite), considerate che ho meno cd rap/hip-hop di quanti ne abbia in ambito hardcore/punk e nu-metal.

Conclusioni: “Diabolus in Musica” è la porta che conduce ad un mondo che si conclude con “Diabolus in Musica”. Ha tutto quello che voglio le rare volte in cui voglio ciò che generalmente non voglio. Ed espletando questa funzione, è semplicemente perfetto.

E poi la copertina è veramente bellissima.