"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

21 apr 2016

RECENSIONE DI UN IDEALE DISCO FANTASMA


Scommetto che adesso riesco a prevedere il vostro futuro e leggervi nel pensiero.
Siete dentro un negozio con un nuovo disco in mano, forse la vostra curiosità è stimolata, ma vi state chiedendo se sarebbe davvero una valida aggiunta alla collezione. Non importa in fondo di quale disco si tratti, perché la questione corretta da porsi è: ne vale veramente la pena? 

Mi sono trovato anche io spesso nella stessa situazione, perché sono attento alle novità e stufo di idealizzare i dischi che poi finiscono per essere ascoltati una volta prima di Natale quando i parenti, con un sorrisino nazista, invitano a spegnere lo stereo: "Ehm... ci mettiamo a tavola, puoi cortesemente spegnere 'sto casino?".

La verità è che più ascolto un disco, più mi accorgo che potrei sostenerlo (o abbatterlo) a prescindere senza neanche sentirlo. La maggior parte degli album che recensiamo infatti non valgono neanche il prezzo del cd dove sono incisi e mi chiedo: ha senso ragionare su quattro energumeni norvegesi? C'è ancora chi apprezza una band di americani con i capelli lunghi? Chi ha il coraggio di sostenere un terzetto tedesco di musica estrema?

Non mi riferisco alla mera esecuzione per affossare o esaltare qualsiasi opera, ma al senso generale di tutto questo e proprio quando concordo con la citazione di Frank Zappa riportata nella homepage di questo blog, scopro di essere ancora un soggetto emotivo di fronte a certe soluzioni sonore e vorrei parlarne a tutti (sarò forse solo affetto da uno spirito bipolare? nda).

La prima cosa che mi commuove ad esempio è: l'anima. Non occorre dire quanto sia sfuggente e indefinibile, soprattutto perché ciò che per me ha un'anima forse non la possiede per voi, ma un disco deve avere un'identità e, qualsiasi essa sia, deve entrare in empatia con il vissuto dell'ascoltatore.
In secondo luogo ammetto di trovare affinità con album che si inseriscono in un percorso ben definito, cioè sono sempre perplesso di fronte all'improvvisazione perché la associo ad una certa superficialità, in altre parole, io mi affeziono. Seguo cioè una persona o una band negli anni, mi interessa capire come si evolve nell'arco del tempo, di una discografia, perciò diffido dal capolavoro estemporaneo.

Questo riferimento alla carriera mi ricorda un racconto di Charles Bukowski intitolato: "Ma voi consigliereste la carriera di scrittore?"
In poche pagine l'autore descrive il suo risveglio dopo una sbronza colossale e, vomitando e barcollando, è costretto a dirigersi in aeroporto per prendere un volo verso una cittadina sperduta dove tenere una lezione in università. Atterrato e coccolato da una ottima ospitalità, tiene istintivamente una lezione sui temi di droghe, alcol e orge di fronte ad una platea accademica di vecchi proibizionisti. Bukowski osserva il suo pubblico che, senza un particolare motivo, fa finta di apprezzare comunque questi racconti come se provenissero da un mondo picaresco ed esotico, fin quando una ragazza gli chiede: "A... Noi... mmm... ci chiedevamo se... lei consiglierebbe la carriera di scrittore?". 

Non capite dove voglio andare a parare? Ve lo spiego subito: non esiste una fredda carriera di scrittore, come una vera e propria carriera da musicista, ma è opportuno parlare di un percorso di vita che si incrocia con il proprio talento. Bukowski, ovvero uno dei più grandi geni letterari contemporanei, ha lavorato per anni alle poste e in seguito ha iniziato a bere e buttar giù pagine su pagine, creando un percorso artistico che si è intersecato profondamente con la sua vita da alcolizzato. Un percorso che non si forma a tavolino, ma passo dopo passo, libro dopo libro, fallimento dopo fallimento, opera dopo opera, per questo tendo a diffidare di chi dice di comporre al momento separando il prodotto da se stesso e dal processo di creazione.

Mi direte che Bukowski però, anche nel racconto suddetto, improvvisa cioè si lascia andare con parole a caso durante la lezione. Concordo nella forma, ma non confondete il talento innato con l'improvvisazione e pensate se avessero posto la stessa domanda ad Ozzy: "Dottor Osbourne ci consiglierebbe la carriera da rock star?".
Cosa cazzo ne sa Ozzy di cosa significa essere se stesso?! È talento devastante che non pensa, ma esprime arte solo aprendo le braccia quando canta o digrignando i denti.

La musica che ha significato per me quindi, lo ripeto, è quella che ha un'anima e segue un artista lungo la sua vita intersecando per qualsiasi motivo le mie emozioni con il suo talento e diventa una cura per il mio cuore, un balsamo per i nervi a pezzi, un momento di primavera dentro lo stress della vita.
Quindi se quel disco che tenete tra le mani non è il freddo frutto di un mondo lontano, ma tocca le vostre anime per qualsiasi motivo, compratelo senza leggere nessuna recensione, se non questa ovviamente!