"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

30 giu 2016

OZZY - PARTE II - IL DOLORE BAMBINO, TRA VERDONE E RENATO ZERO


Ozzy è un lamentoso pesantissimo, se preso alla lettera è veramente insopportabile, anche se come maschera tragica assume un certo tono. La percezione di sé è quella di qualcuno che è sempre sull'orlo della follia, ma non per una propensione interna alla devianza, all'eccesso o all'estremo.
In realtà Ozzy è ossessionato continuamente da quest'idea della solitudine forzata, dell'abbandono.

Un'emozione probabilmente essenziale, cioè gratuita. Una fasulla inclinazione alla solitudine che può anche far impazzire.
Più di un serial killer ad esempio ha affermato che uccidere era l'unico modo di tenere a sé le persone, seppure per un breve tempo, evitare che se ne andassero dopo un tempo ancora più breve. La morte era, paradossalmente, un prolungamento del rapporto. Perfino la conservazione di pezzi di cadaveri in casa era, al di là del feticismo, una compagnia disperata.
Ci si può sentire meno soli con una birra e la testa di qualcuno nel frigorifero? Dahmer pensava di sì, come anche Nielsen, per citarne due.

È dai Black Sabbath che Ozzy la mena con questa storia: le sue paranoie sui rapporti con gli altri.
In "Diary of a Madman" si autodiagnostica “manic depressive”, che non si traduce con “avere le manie depressive” come fanno in tanti, ma con “maniaco-depressivo nel senso di “mania” e “depressione” che sono i due poli umorali della cosiddetta bipolarità.

Tornerebbe il discorso con la descrizione che fa di sé in "Paranoid":

Ho rotto con la ragazza perché non riusciva a farmi far pace col cervello,
la gente pensa che abbia qualcosa che non va perché mi vede sempre cupo e lamentoso.
Penso tanto tutto il giorno ma niente mi sembra avere un senso compiuto.
Mi sento sul punto di impazzire se non trovo qualcosa per darmi pace
Qualcuno può aiutarmi e prendere le redini della mia mente?
Potresti fare una battuta e invece vedermi scoppiare il lacrime mentre tu ridi
Non riesco a sentire felicità, l'amore per me è qualcosa di così inverosimile
E così tu che mi ascolti sappi qual è il mio stato e guarda di goderti la vita
anche per me, che vorrei, ma non posso più

Una poetica che sembra una versione psichiatrica di Lorenzo il Magnifico “Chi vuol esser lieto sia...di doman non v'è certezza”, miscelato con un piglio alla Renato Zero, quando canta “Sono depresso”: dico di sì, ti assecondo se lo vuoi, ma che resti tra noi, sono felice quando sono depresso. La saggezza di Lorenzo, ma senza la sua serenità rinascimentale. Il bipolarismo isterico di Zero, ma da un punto di vista rovesciato, perché Ozzy non è felice anche quando è depresso, ma depresso anche quando è felice.

La sua descrizione unisce sempre questa grande spinta a comunicare, unita però ad una difficoltà a farlo da un nascondiglio mentale, uno spazio in cui gli altri lo vedono mostruoso o lui stesso si dipinge tale per potersi così isolare lontano dal mondo, quando non è preparato a interagirci.
Le figure del folle coi vestiti stracciati che è chiuso in casa, del bambino strano che spaventa gli altri, del licantropo, del pagliaccio che mangia pipistrelli, sono tutti esempi di questa auto-rappresentazione disadattativa. Un pagliaccio impacciato, un licantropo innocuo.

Rispetto alla sua depressione, Ozzy ha anche una visione ironica, quando ad esempio la benedice perché è il modo di staccarsi da relazioni complicate: dice alla donna che lo ha tradito che ormai è troppo stanco ("So tired") per continuare a darle retta. Altre volte è angosciato dalla mancanza di identità che gli sbalzi d'umore danno, fino a dire che lui si trova su una superficie, come quella del mare, in balia delle onde, incapace di ripescare la verità che, se c'è, è sommersa. Quel che galleggia semplicemente non esiste, è una fallace apparenza, una pelle di serpente tra due identità.

L'identità per Ozzy è una ferita che non guarisce, una ferita che lui nasconde in attesa che si coaguli. Una ferita vivente che apre le braccia al pubblico. I suoi pensieri sono castelli che bruciano, perché bruciare un castello può svelare finalmente in quale pietra risiede la verità: quella che sopravviverà all'incendio, o quella che prenderà più fuoco delle altre? O quale altra?

In alcuni casi, come in “Crazy babies”, Ozzy spaccia la sua follia per una sorta di autismo contro il conformismo: vive in un mondo suo perché le regole non lo hanno mai agganciato, né emotivamente (per opposizione o indifferenza), né intellettualmente (perché non ne ha mai capito fondamento e utilità). In realtà questo è un paravento, perché oggigiorno tutti, anche i peggio conformisti, si dichiarano trasgressivi e “un po' anarchici, e tutti credono, “a modo loro” in Dio.

Qui si parla invece del nucleo del sentimento malinconico di Ozzy, che unisce paura dell'abbandono e sensazione di non essere amato. Un Renato Zero malinconico, quale si può vedere in canzoni come l'equilibrista: Ho speso parole, e invano questo amore, per chi come me è costretto a mendicare, ed in cambio ho avuto... tanto male. Questo istrionismo della solitudine, contradditorio solo apparentemente (perché è una solitudine grandiosa, egocentrica che pervade ogni altro aspetto e viene prima di ogni altro aspetto) fa del Nostro un gigante dai piedi di argilla umorale. Il Re sopra il palco, a tratti il vuoto dentro, che non a caso il pubblico ha la funzione di colmare, come lui stesso ha detto del suo rapporto con lo show.

Il dolore risiede nel passato, ma non nel passato letterale, piuttosto nel “bambino” che è in lui:
“Il paradiso è qui, pronto per accoglierti, ma cosa dovrei fare con alle spalle un dolore bambino ?” (così mi permetto di tradurre "Childhood Tragedy"). E così, su questo tavolo da gioco, il nostro rimane inebetito, senza il coraggio di fare la mossa decisiva, tra un passato di dolore da cui affrancarsi e un futuro di felicità che brucerebbe ancora di più, se si rivelasse un'illusione. Se chiudiamo gli occhi, l'amore che sognamo rimarrà sempre lì.

Ricordo una scena che più di ogni altra può far capire cosa passa per la testa a Ozzy quando canta, stralunato, “If I close my eyes forever”. E' una scena di Verdone, del film “Sono pazzo di Iris Blond”, la scena finale. Lei lo lascia, sul binario della stazione, ma prima che il treno stia per partire lui, non accettando questo brutto finale, chiude gli occhi e dice che li riaprirà soltanto quando sente il treno partire. Spera (anzi dispera) di rivederla lì davanti, che non parte più perché lo ama. E invece no, si trova davanti il treno che scorre.
Ecco, Ozzy a quel punto lì era già all'uscita della stazione, perché il suo amore, probabilmente molto intenso e sognante, resta molto ben nascosto e non si fa neanche intravedere. Mai potrebbe reggere ad un trauma del genere.

“E mi trucco perché la vita mia, non mi riconosca e scappi via” (Renato Zero)

A cura del Dottore

ps) leggi qui la prima parte su Ozzy