"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

10 ago 2016

BRIGATE METAL: MORTE AL POP! (parte prima)



Pop e metal: due mondi inconciliabili, due concetti antitetici.

Vi sono stati tuttavia dei punti di collisione. Un esempio su tutti, "Nothing Else Matters": singolone di gran successo e video ruffianissimo che hanno avvicinato ai Four Horsemen “figuri” che fino ad un momento prima non sapevano nemmeno chi fossero i Metallica e pensavano che il metal fosse solo "rumore". Ma a parte questi casi sporadici, il metal non solo non ha a niente a che fare con il pop, ma lo odia con tutto il cuore, tanto che in questa contrapposizione il metal trova una ragion d'essere.

Sebbene il metal, per certi aspetti ed in termini tecnici, sia commerciale (nel senso di "commerciabile", visto che il metallaro ancora compra dischi e cd, ancora va ai concerti, ancora indossa le magliette, facendo sì che il metal rimanga per l’industria discografica una gallina dalle uova d'oro anche in tempi di “crisi”), da un punto di vista delle sonorità rifugge le masse. E di questo fatto di non-essere-orecchiabile, canticchiabile, gradevole a tutti i palati, si compiace assai.

Nel metal il giovane trova identità, comunione con i suoi simili, contrapponendosi al "truzzo" che va in discoteca, al frescone che ascolta Gigi D'Alessio, al cerebroleso che abbocca all'ultima esca lanciata da MTV, la “sempre verde” vecchietta bigotta vicina di casa che batte la scopa contro il soffitto quando il volume dello stereo si fa troppo alto. Questa contrapposizione al mondo "fatato", ma anche ipocrita, della "bella gente dai sorrisi a trentadue denti" è motivo per cui nel Reame del Metallo trovino rifugio anche tanti disadattati ed emarginati sociali (un po’ come avviene nelle tifoserie del calcio: fede, comunione con i “simili” e contrapposizione ad un “altro” da "combattere" con abnegazione).

L'odio nei confronti del pop (alla stregua, appunto, della ferocia degli ultrà contro la tifoseria della squadra avversaria) è tale che esso viene esteso persino a certe frange del metal stesso: a band ed artisti che vengono additati come traditori perché ad un certo punto della loro carriera decidono di ammorbidire il sound. Le accuse di essere "dei venduti" che vengono rivolte ai Cradle of Filth, per esempio, le posso anche capire (in effetti quel loro mix furbetto di atmosfere romantiche, sonorità soft ed iconografia fetish ha saputo conquistare un pubblico vasto e nutrito pure di quelle strane “cose” che sono le ragazze), però queste critiche io non le condivido: i Cradle of Filth, piacciano o meno, non sono commerciali, essi bensì sono dei professionisti seri, la loro proposta è complessa ed articolata, e le loro sonorità rimangono comunque estreme (cazzo, suonano pur sempre black metal!). Ma succede anche di peggio: si prenda l'attacco feroce che la Deathlike Silence Productions (l'etichetta di Euronymous) mosse contro Scott Burns (il produttore di Death, Obituary, Deicide, Cannibal Corpse, Suffocation ecc.), tacciato di aver "corrotto" il metal estremo (ma per piacere!), tanto che la DSP aveva come logo il simbolo del divieto con dentro la foto del volto sorridente del produttore. Roba da matti.

Eppure il pop non è un genere da disdegnare per partito preso. Senza scomodare nobili estrinsecazioni del pop d’antan come "Enjoy the Silence" dei Depeche Mode o "Shout" dei Tears for Fears (brani ed artisti che niente hanno da invidiare, per intelligenza, preparazione e creatività, ai rinomati esponenti della "musica colta"), c'è da riconoscere a questo genere una sua dignità, laddove le sonorità degne dell'alta classifica si sposano con una ricerca autoriale. C'è infatti da essere onesti intellettualmente e capire che non bisogna essere necessariamente ostici per essere intelligenti: c'è chi per la melodia orecchiabile ha un talento innato (altro esempio illustre: il guru Brian Eno, che aveva iniziato la sua carriera con i Roxy Music all'insegna di sonorità easy listening ed accattivanti).

È un po' come dire, per partito preso, che tutte le commedie sono da buttare. Non esattamente: sebbene la maggior parte di esse siano spazzatura in quanto operazioni calibrate unicamente per sbancare i botteghini, ve ne sono alcune che hanno letteralmente fatto la storia del cinema (si guardi a registi come Billy Wilder o Frank Capra). Di contro, non è detto che ogni film drammatico o impegnato sia un buon film (anzi...).

Abbiamo fatto questa premessa solo per mettere in chiaro che ci muoveremo con obiettività e senso della misura, e non solo con il cieco odio: procediamo dunque con la demolizione del pop odierno.

L'idea di affrontare questo argomento nasce dal fatto che al momento (non mi chiedete il perché) mi ritrovo, quotidianamente e per diverse ore al giorno, a contatto con la programmazione di una fetida emittente radiofonica che non dimostra di avere particolari ambizioni nella selezione dei brani da trasmettere. Detto in altre parole: io che da anni non possiedo neppure il televisore, e che quindi nemmeno per sbaglio rischio di incorrere in musica molesta (manco negli spot pubblicitari, tanto per intenderci), mi ritrovo di colpo e senza pietà investito da una valanga di "merda-pop" fumante. Il mio orecchio ha provato a ignorare certe nefandezze, ma con il trascorrere dei giorni la reiterazione sistematica ed incessante dei medesimi brani ha fatto sì che certi di essi siano riusciti ad aprirsi un varco nella mia sfera cosciente. E ho notato che, salvo qualche inevitabile differenza (anche il pop, come tutto, ha i suoi sotto-generi e le sue sfumature), gli ingredienti di cui si compone la ricetta della canzone pop sono sempre gli stessi.

Prima di procedere con l’analisi di questa “ricetta”, vorrei concludere l’anteprima con un'osservazione di carattere generale: nella mia ingenuità ed ignoranza, pensavo che il "tormentone estivo" non esistesse più, che con “Chihuahua” (Dj BoBo, correva l’anno 2008) si fosse toccato il fondo e che tale "modalità espressiva" dell'industria musicale fosse stata archiviata per sempre. Ed invece mi rendo conto che l'idea di trasmettere in continuazione lo stesso brano (per quanto abbia potuto osservare io, almeno tre volte nell'arco di cinque/sei ore) continua a trovare una sistematica applicazione. E ne arrivo a capire anche il senso: laddove vi è un brano inconsistente (insulso, insapore, privo di mordente) la sua ripetizione porta inevitabilmente ad un effetto lobotomizzante (non sto scherzando).

Immergiamoci un attimo nella labile mente di un teenager, o di una persona di bassa cultura, o che comunque non dà molto peso alla musica che ascolta. Già il fatto di sentire trasmesso continuamente il brano dalle più popolari emittenti radiofoniche è di per sé rassicurante, dà un senso di legittimità, dà una ragione d'essere al brano: una ragion d'essere che non ha niente a che fare con il valore intrinseco, con la sfera artistica. Finisce che dopo un tal lavaggio del cervello quella canzone la sera la fischietti, ti si è incrostata nel cervello e il giorno dopo quasi la riconosci con piacere quando viene nuovamente trasmessa.

Il fatto che questi brani siano innocui, scorrano bene, non impegnino la mente, non disturbino e possano essere riproposti in continuazione fra l'indifferenza generale, aiuta questa azione subdola che ha nel mirino le coscienze più deboli ed indifese: quelle che, per ignoranza o disinteresse, non dispongono di utili riferimenti per confrontare e capire il reale orrore di certe aberranti manifestazioni dell'umano essere (ahimè).