"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

23 set 2016

INTERVISTE IMPOSSIBILI: MICHAEL BURSTON (Seconda parte)


Seconda e ultima parte della chiacchierata con Michael Burston, in arte Würstel.

Vediamo perciò come si è chiuso il nostro incontro impossibile con l'ex chitarrista dei Motörhead e se ci ha dato qualche news su Lemmy.

Nell'ultima domanda della prima parte dell'intervista gli chiedevamo di descriverci a grandi linee la sua esperienza durante gli anni passati nella band. Senza troppe divagazioni...

A cura di Morningrise

MM: [...] Scusa Michael, potresti tornare al punto?

MB: ehm, si, scusa. Stavo divagando. Dicevamo? “Orgasmatron”, si. Niente, lo registrammo in fretta e furia ti dicevo. E il risultato fu quello…comunque un gran risultato! Però attenzione: era tutta la macchina che girava bene. Tanto che non fu solo “Orgasmatron”; dopo quello scrivemmo altre buone cose. Ad esempio “1916”, probabilmente il miglior disco degli anni 90 dei Motörhead. E anche lì, modestia a parte, ci misi ben bene il mio zampino nel songwriting. Poi sai, era un casino. Io e Phil ci facevamo un culo quadro mentre Taylor (Phil “Philty Animal”, lo storico batterista della band, N.d.R.) combinava casini. Se ne andò, poi tornò, ma questo non facilitò le cose all’interno del gruppo. Tutti ne risentimmo. Anche se non ne voglio parlare troppo male, visto che anche lui è passato a miglior vita, anticipando Lemmy di poche settimane. Comunque, per tornare a quegli anni: ovvio che i risultati qualitativi, con tutto sto casino alle spalle, fossero un po’ altalenanti. “March or die” sicuramente non fu epocale, ma poi ci rialzammo con “Bastards”. Fino a “Sacrifice”. Non un capolavoro quello, ma secondo me tutto sommato reggeva. Solo che…(sbuffa)

MM: “Solo che…”?

MB: Solo che…ero fuso, davvero. Cotto. Undici anni e passa a quei ritmi stroncherebbero un toro. Non so come abbia fatto Lemmy a reggerli per 45 anni di carriera! Dopo “Sacrifice” dissi arrivederci e grazie. Lemmy era dispiaciuto, per usare un eufemismo. Mi diceva: “checazzo, abbiamo fatto il disco, si deve partire per il tour! E tu te ne vai?? Non puoi farci sta carognata!”. Ma non ce la facevo proprio. E così me ne andai. E loro rimasero in tre. Lemmy decise di provare a continuare così (del resto erano già stati un trio prima di me per tanti anni…) e la cosa funzionò. Anche perché nel frattempo era arrivato Mikky (Dee, l’ultimo batterista della band, N.d.R.). Con Mikky ho suonato per poco tempo ma mi resi subito conto che era una iena, davvero. Una macchina da guerra. Era quello che ci voleva per Lemmy e Phil. Era giovane, ma già con esperienze importanti alle spalle. E non è un caso che ha retto per oltre vent’anni la vita motorheadiana. Anzi, a posteriori posso dire che gli ho fatto un favore ad andarmene! (ride) E’ che avevo bisogno di fare qualcosa di diverso. E così mi diedi alla carriera solista.

MM. E come andò?

MB: una merda! Cioè, “una merda” come vendite. Io ero abbastanza soddisfatto. Provai nuove idee, nuovi stili. Li hai ascoltati i miei dischi post-Motörhead?

MM: per la verità no…non li conosco…

MB: arieccoci! Guarda, se fossi ancora in vita in un’intervista normale ti avrei già mandato a farti fottere! Beh, per la verità non sei il solo a non averli ascoltati (ride di nuovo). Comunque, per tua informazione con la carriera solista ho cercato di mischiare un po’ di generi. Qualcosa di rock duro a-là-motorhead lo mantenni, giusto per avere un trademark riconoscibile. Ma dentro ci piazzai del jazz, dell’ambient. Qualcosa di nuovo, avanguardistico se mi passi il termine.

MM: fino a che…?

MB: eh, fino a che un corno! In dieci anni riuscii a pubblicare appena due album! Non è facile trovare contratti se il tuo nome non lo conosce nessuno e il tuo nickname sembra un ripieno per hot-dog! Cercai di sfruttare il mio passato ma questo a volte era un boomerang. Quando mi presentavo coi miei lavori, mi dicevano subito: “ehi, ma sta roba non sembrano i Motörhead!”; oppure “Ehi, ma tu sei il vecchio chitarrista dei Motörhead! Suoni pezzi col loro stile? Sai potremmo cavalcare il tuo trascorso e promuoverti attraverso quell’esperienza”, e cose così...bla bla bla! Alla fin fine, rimasi a fare comparsate con altri gruppi e qualche cosa celebrativa con Lemmy. Ci volevamo bene in fondo e siamo sempre rimasti in buoni rapporti, nonostante le malelingue.

MM: "Malelingue"?

MB: ehi, ma non sai proprio niente! Sei proprio irrecuperabile…Si, le malelingue. Alcuni, sia fan che addetti ai lavori, misero in giro la voce che me ne ero andato per soldi. Che avrei fatto cause e altre cazzate simili. Le motivazioni erano altre. Quelle che ti ho descritto sopra. E non è un caso che quando tirai le cuoia, Lemmy mi ricordò subito con grande affetto. Sapeva anche lui che i soldi non c’entravano un cazzo.

MM: OK, Michael. Mi hai fatto un assist prezioso…che ci dici di Lemmy? Sono passati quasi nove mesi da quando è arrivato. Non abbiamo ancora il coraggio di chiedergli un’intervista. La cosa, soprattutto se comparata all’eternità, è troppo fresca. Tu l’hai già visto? Come se la cava in questa nuova realtà?

MB: Si, si l’ho già incontrato. Non ho voluto essere troppo invadente, sai. Nove mesi sono ancora niente, come dicevi tu. Quando gli ho parlato mi ha detto che passa da momenti di depressione acuta a momenti di grandissima serenità. Ancora quasi non ci crede di essersene andato così, in quattro e quattr’otto. Poi ci riflette e capisce che la cosa è irreversibile e alterna i due stati d’animo. Normale. E’ per tutti così. Da un lato stai bene, non soffri, non hai pene fisiche. Dall’altro la nostalgia per la Vita terrena è tanta. E a volte ti sovrasta.

MM: di musica avete parlato? Qualche ricordo di quegli anni, magari.

MB: si, ho provato ad accennargli la cosa. Così per rompere il ghiaccio e distrarlo. Ma non è che abbia funzionato granchè. Per ora lo straniamento prevale. Però credo che non durerà molto. Se lo conosco appena un poco credo che tra non molto comincerà anche quassù a trovare il modo di fare casino e creare un bel clima allegro (e allora credo proprio che lo frequenterò con maggiore assiduità). Il che non è semplice perché non gira fumo e alcool qua. E anche a figa siam messi male. Per fortuna (o per sfortuna, dipende dai punti di vista!) la cosiddetta “pace dei sensi” nelle nostre condizioni è totale! (ride fragorosamente).

MM: eh eh! Senti Michael, che mi dici del grande tema dell’influenza dei Motörhead su una miriade di gruppi heavy metal? Voi tutti siete stati citati come un’ispirazione enorme per tanti gruppi speed/thrash. Cosa ne pensi tu e cosa ne pensava Lemmy?

MB: Come forse già saprai, Lemmy si schermiva su questo tema. Non so quanto sinceramente. Cioè lui diceva che i Motörhead suonavano rock and roll tout court. E tanto basta. Il resto lo interessava poco. Ma sotto sotto secondo me gli faceva piacere essere citato da tutti quei gruppi che stavano esplodendo agli inizi degli anni ottanta. Io ho vissuto i Motörhead proprio negli anni di maggior sviluppo del thrash e quindi posso dire di essere arrivato “a cose fatte”. Però la stima nei nostri confronti era palpabile da tutto il movimento estremo metal. Lui andava avanti con la sua musica, per la sua strada. Suonando quello che voleva, che era poi quello che gli riusciva meglio. Certo, i dischi se vuoi si somigliavano, la struttura dei pezzi era più o meno sempre quella. 
Però per quel che mi riguarda posso andare orgoglioso del mio apporto nella storia del gruppo. Credo, senza falsa modestia, di aver dato un contributo importante nello scrivere brani che rimarranno immortali nella storia del rock.

MM: ok, Michael, mi sa che abbiamo sforato i tempi a nostra disposizione. Come ci vuoi salutare?

MB: Vi ringrazio per essermi venuti a trovare e quando vi capita di ascoltare “Orgasmatron” o un altro dei dischi dei Motörhead successivi a quello ricordate che sotto c’è anche lo zampino di un chitarrista con uno dei nomignoli più strani della storia del metal: Würstel!